Blackout a San Francisco, robotaxi Waymo in stallo: il test che nessuno voleva (ma che serviva)

Un blackout ha messo in ginocchio i robotaxi a San Francisco, costringendo Waymo a sospendere il servizio e lasciando decine di veicoli bloccati in strada. Una fotografia nitida di quanto la mobilità autonoma sia avanzata ma ancora dipendente da infrastrutture fragili: energia, rete mobile, segnaletica. Non è solo un disservizio: è un crash-test a cielo aperto su cui vale la pena ragionare.

Cosa è successo a San Francisco

Sabato sera Waymo ha fermato il servizio dei suoi taxi robot a San Francisco dopo un blackout esteso che ha portato a numerosi veicoli fermi agli incroci e lungo le arterie principali. La conferma è arrivata da una portavoce dell’azienda, Susan Fillon, che ha parlato di un lavoro congiunto con le autorità per monitorare la stabilità delle infrastrutture e ripristinare l’operatività il prima possibile. Lo stop, riportato da TechCrunch, ha scatenato reazioni immediate sui social, con foto e video dei veicoli fermi e gli automobilisti costretti a superarli o a rimanere in coda.

Il blackout, secondo le prime ricostruzioni, sarebbe legato a un incendio in una sottostazione di Pacific Gas & Electric (PG&E). Non è ancora chiaro il nesso tecnico preciso tra l’interruzione di corrente e il comportamento dei robotaxi. Ed è qui che il caso diventa interessante: i veicoli sono elettrici e dotati di batterie, quindi perché si sono fermati? La risposta quasi certamente non è “mancanza di carica”, ma un combinato disposto di infrastrutture fuori uso su cui l’autonomia fa ancora affidamento.

Il comunicato di Waymo

Waymo ha scelto la linea della prudenza: meglio sospendere tutto finché non viene verificata la stabilità dell’ambiente operativo. Un segnale di responsabilità, ma anche la prova che l’autonomia odierna non è “autarchia”. Siamo al livello 4: veicoli capaci di guidare da soli in aree e condizioni definite, non ovunque e comunque.

Le immagini dalla città

Le testimonianze online mostrano veicoli fermi e incroci congestionati. Un dettaglio importante: in condizioni normali un robotaxi in difficoltà si mette in sicurezza accostando. In blackout diffuso, però, la quantità di edge case contemporanei può generare situazioni a catena, soprattutto quando più auto autonome incontrano lo stesso problema nello stesso punto.

Perché un blackout può fermare i robotaxi?

La domanda chiave: se la batteria è carica, cosa li blocca? Le ipotesi più solide convergono su tre dipendenze critiche.

Semafori e segnaletica fuori servizio

Con i semafori spenti, la logica di priorità agli incroci cambia. Gli umani si regolano “all’italiana” (occhio, prudenza, gesti), ma per un veicolo autonomo l’assenza di un segnale affidabile e di una condizione normata può diventare un caso limite. Se la policy di sicurezza è conservativa, la scelta corretta è fermarsi finché la scena non è chiara. Meglio un’auto immobile che un attraversamento incerto.

Rete mobile e dati in down

Anche se i robotaxi non si “guidano dal cloud”, la connettività serve. Aggiornamenti in tempo reale sulla viabilità, validazioni, supporto remoto degli operatori, sincronizzazione con i sistemi centrali: se la rete mobile o la dorsale dati crollano insieme alla corrente, l’auto può decidere di portarsi in safe mode, soprattutto in aree ad alta complessità.

Energia e ricarica non sono il problema immediato

Un blackout non scarica le batterie dei veicoli già in strada. Il tema non è “energia a bordo”, ma “ambiente intorno”. Il paradosso: un’auto elettrica con autonomia residua può restare bloccata non perché non può muoversi, ma perché la città intorno non è più leggibile secondo le sue regole di sicurezza.

Il nodo infrastrutture: autonomia non vuol dire indipendenza

La lezione più forte è questa: la mobilità autonoma è una catena di sistemi. Basta un anello debole per interrompere il servizio. E gli anelli non sono solo sensori e software: sono anche reti elettriche, TLC, semafori, segnaletica, perfino il coordinamento tra forze dell’ordine e operatori privati.

Quando cade la rete di energia (PG&E) e a cascata si indeboliscono segnali e telecomunicazioni, la “zona operativa sicura” dei robotaxi si restringe. Se l’algoritmo è stato progettato per fermarsi quando il contesto non è affidabile, lo farà. È esattamente quello che vogliamo da un sistema responsabile.

Ridondanza e fail-safe: cosa aspettarsi dal livello 4

Un sistema autonomo robusto deve garantire:

  • Ridondanza sensoriale (vision, lidar, radar) per leggere la strada anche con segnali urbani fuori servizio.
  • Fallback comportamentale: quando l’incrocio è ambiguo, accosta in sicurezza anziché “forzare”.
  • Supporto remoto graduato: l’operatore può guidare la decisione senza “teleguidare”, ma serve connettività.
  • Procedure di recovery coordinate con la città: rimozione rapida dei veicoli fermi in punti critici.

Il ruolo delle città e dei gestori energetici

Il caso San Francisco mostra che serve più dialogo tra mobility tech e utility. Microgrid urbane, backup per i semafori, protocolli di emergenza standardizzati, corsie di sicurezza per il recupero veicoli autonomi: sono tutti tasselli della stessa strategia. Se immaginiamo flotte autonome diffuse, non possiamo ignorare la resilienza dell’infrastruttura che le ospita.

Impatto su cittadini, traffico e percezione pubblica

In termini pratici, un convoglio di auto autonome ferme può creare colli di bottiglia in pochi minuti. La percezione pubblica è fragile: basta un episodio virale per riaccendere scetticismo e polarizzazione. Al tempo stesso, l’evento mette in luce un punto positivo: i veicoli si sono fermati anziché compiere manovre rischiose. Sicurezza passiva, sì. Ma da sola non basta a garantire fluidità urbana nelle emergenze.

La soluzione non è “meno autonomia”, ma “più infrastruttura intelligente”. Con semafori resilienti, rete mobile protetta, canali di soccorso dedicati e policy chiare, lo stesso blackout avrebbe prodotto meno caos.

Cosa cambia per il mercato dei robotaxi

L’episodio non è la fine del settore, è un avviso. Gli operatori dovranno dimostrare non solo performance in condizioni normali, ma piani solidi per condizioni degradate: dal maltempo agli attacchi cyber, fino ai blackout elettrici. La competizione si sposterà anche sulla resilienza operativa, non solo su costi e qualità del ride.

Waymo in numeri

Secondo TechCrunch, Waymo gestisce circa 450.000 corse a settimana. Significa che il sistema è già industriale, non un pilot. Proprio per questo gli episodi-limite fanno notizia e diventano banco di prova: la scala amplifica sia i benefici sia le criticità.

Regolatori e policy

I regolatori locali dovranno aggiornare i protocolli di emergenza includendo i veicoli autonomi: priorità agli interventi in incroci critici, canali di coordinamento h24 tra aziende e centrale operativa, standard minimi per backup energetico della segnaletica, report pubblici post-incidente. Più trasparenza, più fiducia.

Le prossime mosse: come evitare il replay

Dopo uno stop così, ci si aspetta una sequenza di azioni concrete da parte di aziende e città. Alcune misure-priorità:

Checklist di resilienza per AV e città

  • Semafori con backup: alimentazione di emergenza (batterie o microgrid) sugli incroci ad alta intensità.
  • Geofence dinamici: riduzione area operativa in tempo reale quando la qualità dell’infrastruttura scende sotto soglia.
  • Protocollo di accosto intelligente: luoghi predefiniti e segnalati per l’arresto sicuro dei robotaxi in caso di emergenza diffusa.
  • Corridoi di recupero: procedure coordinate per la rimozione rapida di veicoli fermi in punti nevralgici.
  • Ridondanza TLC: multi-carrier, fallback satellitare dove possibile, priorità di rete per i mezzi in emergenza.
  • Simulazioni “black swan”: test periodici con blackout, rete degradata, segnaletica non affidabile.
  • Comunicazione pubblica: messaggi chiari su come comportarsi quando si incontrano robotaxi fermi, per ridurre panico e rischi.

In sintesi: non basta progettare il veicolo. Va progettata l’intera “orchestra” in cui il veicolo suona. L’autonomia diventa vera quando regge non solo al traffico del lunedì, ma anche al caos del sabato sera senza corrente.

Conclusione

Il blackout di San Francisco non boccia i robotaxi, ma promuove il tema giusto: infrastrutture e resilienza prima di scalare. È una lezione per tutti gli attori della mobilità, anche in Italia, dove questi servizi arriveranno. Meglio arrivare preparati, con regole chiare e città pronte a gestire l’eccezione, non solo la normalità.

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