Regno Unito, stretta sulle AI: test obbligatori per fermare le immagini di abuso sui minori
Il Regno Unito accelera: aziende tech e autorità per la tutela dei minori potranno testare i modelli di intelligenza artificiale per verificare se sono in grado di produrre immagini di abuso su minori e, soprattutto, se dispongono di barriere efficaci per impedirlo. Una mossa forte, con numeri allarmanti alle spalle e parecchie domande sul tavolo: funziona davvero? Quanto impatta su privacy e innovazione? E cosa cambia per famiglie e piattaforme? Vediamo cosa sappiamo finora e perché la partita è decisiva.
Perché se ne parla adesso
La decisione arriva mentre i contenuti illegali generati con l’AI stanno aumentando. Secondo quanto riportato da The Guardian, nel Regno Unito le segnalazioni di materiale pedopornografico generato da intelligenza artificiale sono più che raddoppiate nell’ultimo anno: da 199 nel 2024 a 426 nel 2025. A crescere sono anche i casi di “categoria A”, la forma più grave di abuso, passati da 2.621 a 3.086 tra immagini e video. Un dato ulteriore: nel 2025 il 94% delle immagini illegali generate dall’AI prende di mira bambine. Numeri che spiegano l’urgenza di intervenire con strumenti concreti, non solo principi.
Cosa prevede la nuova misura nel Regno Unito
Il governo britannico consentirà a un perimetro definito di soggetti di esaminare i modelli di intelligenza artificiale – quelli alla base dei generatori di immagini e video – per verificare se siano in grado di produrre materiale illegale e se siano presenti misure di sicurezza efficaci per impedirlo. L’obiettivo dichiarato è duplice: prevenire la creazione di immagini di abuso su minori e alzare gli standard minimi di sicurezza (“safety-by-design”) nel settore.
Il riferimento politico è chiaro: il Regno Unito ha un ministro per l’Intelligenza Artificiale e la Sicurezza Online, Kanishka Narayan, che ha messo il tema al centro dell’agenda. L’approccio è pratico: aprire un canale regolato di test “dall’esterno” sui modelli, così da smascherare falle e aggiramenti prima che lo facciano i criminali.
Chi potrà effettuare i test
- Agenzie per la sicurezza dei minori: enti specializzati nel contrasto agli abusi online, con procedure di segnalazione e conservazione delle prove.
- Aziende tecnologiche: sviluppatori e fornitori di modelli generativi, chiamati a collaborare e a dimostrare la robustezza dei propri sistemi.
- Partner autorizzati: laboratori e organismi indipendenti, per attività di audit e red teaming controllato.
I numeri del fenomeno: un rischio in crescita
I dati citati da The Guardian delineano una tendenza netta: più modelli generativi in circolazione significa anche più tentativi di abuso della tecnologia. Le segnalazioni di contenuti AI illegali sono aumentate (da 199 a 426) e i casi gravissimi (categoria A) crescono a loro volta (da 2.621 a 3.086). Il profilo delle vittime – con un’alta incidenza di bambine – ricorda quanto sia centrale l’educazione digitale e la protezione dei contenuti personali.
Come si testa un modello AI per la sicurezza dei minori
- Red teaming controllato: squadre di esperti provano a “forzare” il modello con prompt malevoli per vedere se, e come, riesce a produrre materiale vietato. È la prova del nove.
- Filtri a monte e a valle: policy e filtri in addestramento e in inferenza. I modelli devono rifiutare richieste illegali e i sistemi di moderazione bloccare output ambigui o rischiosi.
- Riconoscimento e hashing: uso di tecniche di hashing per identificare contenuti noti e collaborazioni con fondazioni che monitorano l’abuso online. Il punto difficile è lo “sconosciuto”: contenuti nuovi e sintetici sfuggono alle liste tradizionali.
- Watermarking e tracciabilità: segnature nei contenuti generati per risalire alla fonte e disincentivare l’uso illecito, pur sapendo che i watermark possono essere aggirati.
- Audit dei log e trasparenza: registri sicuri di prompt e output (con tutele sulla privacy) per ricostruire i casi e migliorare rapidamente i guardrail.
I nodi critici da risolvere
- Efficacia reale: i modelli migliorano, ma migliorano anche i metodi per ingannarli. Il rischio di falsi negativi (contenuti che passano) e falsi positivi (blocchi ingiustificati) resta alto.
- Accesso ai modelli e segreti industriali: consentire test esterni implica condividere informazioni sensibili. Servono protocolli chiari per evitare fughe di dati e abuso dell’accesso.
- Impatto su startup e open source: i costi di conformità possono frenare i piccoli player. Va evitato un mercato a due velocità in cui solo i grandi possono permettersi la compliance.
- Giurisdizione e competenze: i modelli e gli utenti non hanno confini. Senza accordi internazionali, i contenuti possono migrare verso piattaforme meno regolamentate.
Impatto per le aziende tech: cosa cambia subito
- Audit readiness: documentazione sui sistemi di sicurezza, procedure di test periodici, piani di risposta agli incidenti e canali di segnalazione.
- Safety-by-design: integrare guardrail già in fase di addestramento, evitare dataset “tossici”, rinforzare il rifiuto di prompt illegali con tecniche di fine-tuning e RLHF.
- Logging responsabile: conservare tracce utili all’investigazione senza violare la privacy degli utenti legittimi. È un equilibrio delicato, ma necessario.
- Partnership: cooperazione con enti per la tutela dei minori e laboratori di sicurezza per test indipendenti e aggiornamento costante dei filtri.
Genitori ed educatori: le azioni pratiche che contano
- Limitare la condivisione: ridurre o evitare la pubblicazione di foto dei minori, usare impostazioni di privacy e togliere metadati dove possibile.
- Educazione digitale: spiegare rischi, consenso e segnalazione. Un ragazzo informato è più difficile da manipolare.
- Monitoraggio e dialogo: controllare l’impronta digitale dei minori e aprire canali di ascolto costante. Le segnalazioni tempestive fanno la differenza.
Europa e Italia: cosa aspettarsi
La mossa britannica alza l’asticella. In Europa l’AI Act definisce obblighi di sicurezza e trasparenza per i fornitori di sistemi di intelligenza artificiale, con un approccio “risk-based”. Ma le norme orizzontali non bastano: il contrasto ai reati richiede leggi specifiche, cooperazione tra piattaforme, forze dell’ordine e autorità di tutela dei minori. È plausibile che l’iniziativa UK faccia da catalizzatore, spingendo verso test obbligatori e audit indipendenti anche in altri Paesi. La direzione è chiara: più responsabilità per chi sviluppa e distribuisce modelli generativi.
Conclusione
Testare le AI per impedire la creazione di immagini di abuso non è una bacchetta magica, ma un passo concreto per alzare gli standard e mettere pressione su chi costruisce questi strumenti. La sfida è bilanciare efficacia, privacy e innovazione. Qui si gioca una partita di civiltà, prima ancora che tecnologica.
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