Siri riparte da “Veritas”: il test (interno) con cui Apple vuole tornare nella partita dell’AI
Apple sta provando a riaccendere Siri con “Veritas”, un chatbot interno in stile ChatGPT pensato per test e iterazioni rapide. L’obiettivo dichiarato: rendere l’assistente più conversazionale, utile e davvero privata. Ma un test chiuso ai soli dipendenti può bastare a recuperare anni di ritardo su ChatGPT, Gemini e gli altri? E soprattutto: quanto conteranno privacy e on‑device se le funzionalità non sono all’altezza?
Cos’è Veritas e perché conta davvero
Secondo Bloomberg (Mark Gurman), Apple ha sviluppato “Veritas”, un’app in stile ChatGPT per far provare internamente la nuova Siri. I dipendenti possono porre domande, avviare conversazioni, rivedere scambi passati e inviare feedback rapidi ai team. È il modo più veloce per capire cosa funziona, cosa no e quali casi d’uso hanno davvero valore nel quotidiano.
Il contesto è noto: Siri ha perso smalto, mentre il mercato dell’AI generativa corre. Apple Intelligence non ha scaldato tutti (specie in Europa, dove il rollout e la conformità regolatoria hanno frenato l’entusiasmo) e i rinvii sulla “nuova Siri” si sono accumulati. Veritas è il tentativo di accelerare, costruendo un ponte tra ricerca, prototipi e prodotto.
Perché Apple arriva ora (e cosa ha frenato Siri fin qui)
Siri è nata prima di tutti, ma non è cresciuta al ritmo di una tecnologia che, con i modelli linguistici di nuova generazione, è diventata conversazione, ragionamento, automazione. Il focus storico di Apple su privacy e on‑device ha dato un vantaggio reputazionale, ma ha complicato la scalabilità rispetto a chi ha spinto da subito su modelli cloud giganteschi. E nel 2025 non basta più il brand: vince chi consegna funzionalità concrete, quotidiane, affidabili.
Cosa sta testando Apple con Veritas
1) Conversazioni più naturali e contestuali
L’obiettivo è una Siri capace di ricordare il contesto, mantenere il filo tra richieste successive e recuperare scambi passati quando utile. In pratica: meno comandi rigidi, più dialogo. Bloomberg parla di un’interfaccia “tipo chatbot” con cui i tester possono esplorare temi, fare domande follow‑up e valutare risposte con feedback strutturati.
2) Azioni dentro le app, non solo risposte
La nuova Siri punta a eseguire task reali: avviare flussi nelle app, comporre messaggi con contenuti presi da altre app, impostare automazioni, avviare modifiche in Foto. È la direzione che gli utenti chiedono: meno “ti ho trovato questo sul web”, più “l’ho fatto per te”. Il valore sta nell’orchestrazione tra app, non nella singola risposta brillante.
3) Ricerca nei dati personali in chiave privacy
Apple vuole far contare il suo vantaggio: elaborazione in locale e protezione dei dati. L’idea è consentire a Siri di cercare in email, note, calendari, file e foto con un approccio privacy‑first, sfruttando modelli on‑device e, quando necessario, infrastrutture proprietarie orientate alla riservatezza. Se funziona, è un differenziale potente. Se però limita troppo l’intelligenza del modello rispetto ai concorrenti cloud‑centrici, diventa un vincolo.
Test interno sì, ma senza beta pubblica: scelta giusta?
Ad oggi Veritas non è pensato per i consumatori. È un test interno. Bene per qualità e riservatezza, rischioso per la distanza dal mondo reale. Il comportamento di un assistente vocale emerge negli edge case: accenti, contesti ambigui, integrazioni imprevedibili, carichi di lavoro sporchi. Tutte cose che un’azienda non replica sotto campana.
- Pro del test interno: feedback rapidi, controllo sui dati, iterazioni veloci, meno rischi reputazionali.
- Contro evidenti: dataset limitato, scarsa diversità d’uso, tempo al mercato allungato, minore pressione competitiva sulle funzionalità reali.
Nel frattempo la concorrenza rilascia feature a ritmo mensile. E questo, nella percezione degli utenti, pesa più dei comunicati.
La nuova partita degli assistenti: contano le funzionalità
OpenAI con ChatGPT, Google con Gemini e Microsoft con Copilot hanno alzato l’asticella. Non basta “rispondere bene”: serve agire, ricordare, vedere, ascoltare, automatizzare. La sfida è passare dall’assistente “che parla” all’agente “che fa” in modo affidabile e sicuro.
- Memoria e contesto persistente: ricordare preferenze e attività recenti per ridurre la frizione.
- Automazioni cross‑app: orchestrare azioni tra più applicazioni senza scripting manuale.
- Multimodalità reale: testo, voce, immagini, video, schermo condiviso.
- Affidabilità e citazioni: meno allucinazioni, più verificabilità.
- Privacy controllabile: scelte chiare tra on‑device e cloud, con trasparenza su dove vanno i dati.
- Velocità e latenza bassa: soprattutto su mobile, dove l’assistente deve rispondere subito.
Apple è fortissima sull’integrazione hardware‑software e sull’esperienza d’uso. Se Veritas porta una Siri capace di “fare cose” in modo consistente, l’ecosistema può tornare un moltiplicatore. Se resta un assistente brillante ma limitato, gli utenti continueranno a preferire soluzioni alternative, anche pagando abbonamenti extra.
Per gli utenti: cosa cambierebbe davvero con una Siri “Veritas‑powered”
Il valore si misura nei minuti risparmiati, non nelle demo. Alcuni esempi pratici di impatto se Apple centra l’obiettivo:
- Inbox e agenda senza frizione: “Riepiloga le mail urgenti, prepara una risposta breve e fissami una call con chi è libero entro venerdì”.
- Foto al volo: “Trova le foto della presentazione di Milano e applica una correzione colore come nell’ultimo progetto”.
- Produttività in mobilità: “Prendi le note dell’ultima riunione, trasformale in to‑do e condividile con il team in Slack”.
- Comandi naturali in auto o con gli AirPods: azioni vocali rapide, latenza minima, zero distrazioni.
- Privacy come impostazione di default: attività sensibili elaborate in locale, con richiesta esplicita prima di usare il cloud.
È qui che il “fattore Apple” può pesare: se l’assistente è integrato nativamente in iPhone, Mac, iPad, Watch e CarPlay, e se le app di terze parti possono esporre azioni in modo semplice, la curva di adozione può impennarsi.
Dove Veritas può ancora inciampare
- Copertura funzionale disomogenea: alcune lingue e mercati, Europa in testa, storicamente arrivano dopo o con feature ridotte.
- Vincoli on‑device: modelli leggeri e veloci sono ottimi per la privacy, ma rischiano di essere meno capaci dei grandi modelli cloud.
- Mancanza di beta pubbliche estese: senza milioni di utenti “real world”, la qualità conversazionale fatica a maturare.
- Frammentazione delle integrazioni: se le app non espongono azioni standard, l’orchestrazione resta incompleta.
I segnali da monitorare nei prossimi mesi
- Riferimenti in iOS e nei framework per sviluppatori: nuove API per azioni, memoria e automazioni.
- Allargamento dei test: da test interni a programmi chiusi (AppleSeed) e poi beta pubbliche.
- Roadmap trasparente in Europa: calendario, feature parity, impegni su privacy e conformità.
- Velocità di rilascio: aggiornamenti mensili con miglioramenti tangibili, non solo “sotto il cofano”.
Se questi segnali arrivano, Veritas può essere più di un esperimento: il primo passo concreto verso una Siri 2.0 che compete davvero.
La domanda che resta
Apple può recuperare dove ha finora arrancato? La privacy è un vantaggio, ma oggi vince chi ti fa risparmiare tempo. Veritas è un inizio promettente, ma finché resta dietro le quinte, la partita si gioca altrove.
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